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SE I MAGISTRATI SONO UN POTERE INDIPENDENTE DA OGNI POTERE, E’ LEGITTIMO IL LORO SCIOPERO?

La Costituzione nulla asserisce in via esplicita per quanto concerne l’esercizio del diritto di sciopero da parte dei magistrati.

Tuttavia, pur essendo da tempo considerato legittimo lo sciopero dei dipendenti pubblici – beninteso in via generale, cioè eccezion fatta per determinate categorie in relazione al tipo di prestazione svolta – lo sciopero dei magistrati non sembra da considerarsi legittimo.

Se si ritiene, infatti, che l’esercizio della giurisdizione sia una funzione che renda compartecipi della sovranità (art. 101, 1° comma) e che i magistrati concorrano a costituire uno dei poteri dello Stato e abbiano, in aggiunta, il potere di disporre della polizia giudiziaria, ne deriva in via logico-sistematica che essi non possano esercitare il diritto di sciopero: come, a dimostrazione, sarebbe un assurdo logico-giuridico uno sciopero dei parlamentari o dei Ministri. 

E non è un caso che il modello di magistratura a cui pensarono i Costituenti fu un modello di «ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» (art. 104, 1° comma). Tra i giuristi è diffusa l’interpretazione per cui la Costituzione abbia pensato alla magistratura come ad un «potere neutro», non avendo essa poteri di indirizzo politico generale (alla stessa stregua del Presidente della Repubblica).

Questa impostazione mette in luce l’illegittimità dello sciopero della magistratura proclamato oggi per influire su un disegno legislativo di riforma che proprio a essa si indirizza. In questo caso lo sciopero cessa di operare come uno strumento di autotutela di categoria, per trasformarsi in un indebito tentativo di sovrapposizione dei pubblici funzionari all’organo politico. La Magistratura finisce così col porsi in sostanziale esorbitanza dai limiti della propria competenza costituzionale, mentre, viceversa, il rispetto delle fondamentali scelte politiche legalmente espresse è l’ABC della democrazia parlamentare. 

Di rincalzo, l’ordinamento assicura con altri mezzi l’indipendenza e la libertà morale della magistratura: sancendo l’inamovibilità del giudice, la sua nomina non elettiva, l’obbligatorietà dell’azione penale, il controllo di costituzionalità delle leggi, l’autogoverno dell’ordine giudiziario.

La riforma costituzionale, non della giustizia, ma della gestione delle carriere dei magistrati approvata dalla Camera, pur puntando alla separazione delle carriere fra giudice e pubblico ministero, non prospetta per quest’ultimo il venir meno delle garanzie che gli spettano nell’interesse pubblico. 

Uno degli scopi che sta alla base del tentativo di revisione costituzionale è di evitare che la carriera unica renda possibile al magistrato del pubblico ministero di influenzare più direttamente il collega che svolge funzioni giudicanti. Una netta separazione in due distinte carriere, si sostiene, darebbe rigore alla collocazione dei due organi, giudice e pubblico ministero, sciogliendo le ambiguità dell’impianto originario.

La riforma però, almeno a me sembra, è diventata l’occasione per una certa politica, di indebolire la magistratura, che, tra i poteri dello Stato, ha preso il sopravvento, creando un chiaro squilibrio. Ma ciò è conseguenza dell’assetto che la Costituzione ha dato al pubblico ministero – che oggi ha un potere immenso e pressocché incontrollabile di inserirsi nelle nostre vite – che è a base dello squilibrio istituzionale emerso negli anni.

Al furore punitivo di taluni magistrati, insomma, si è accompagnato il furore anti-giudiziario di certa politica (alla quale, salvo dichiarazioni di facciata, non sta tanto a cuore che la giustizia funzioni). E in questa contesa, infine, ciò che brucia alla politica è potere interferire sulle nomine dei procuratori e degli aggiunti presso le Procure della Repubblica e, tutt’al contrario, ai rappresentanti dell’associazionismo giudiziario di preservare a sé tale possibilità.

Felice Blando
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Felice Blando è ricercatore confermato di Istituzioni di diritto pubblico nel Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Palermo. Insegna Istituzioni di diritto pubblico nei corsi di Scienze delle attività motorie e sportive e Scienze della formazione primaria dell’Università di Palermo e Tecniche alternative di risoluzione delle controversie nel corso di Consulente giuridico d’impresa del Polo di Trapani. Ha scritto più di 50 saggi, orientati soprattutto alle materie delle forme di governo e delle forme di Stato, dei partiti politici e del diritto sportivo. Come avvocato svolge il ruolo di curatore di eredità giacente presso il Tribunale di Palermo.

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