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EUROPA GIGANTE NECESSARIO, MA HA PIEDI D’ARGILLA

Un autentico terremoto. Un uragano.

Non possiamo dire che non ce lo aspettavamo, ma queste prime settimane del secondo mandato presidenziale di Donald Trump sono state un vero e distruttivo terremoto per la normalmente felpata politica internazionale. In tutti i campi.

In economia, più dazi per tutti, dal Messico (per ottenere collaborazione sul fronte delle migrazioni) al Canada, dalla Cina all’Europa. Dazi trattabili e variabili, a seconda del grado di obbedienza, sostanziale discrimine tra Paesi più o meno amici (sudditi), in modo da scoraggiare l’acquisto di merci straniere e indirizzare il grande mercato interno verso prodotti made in USA.

In politica estera attivismo a tutto campo. Nel conflitto israelo-palestinese, proposte shock, una riviera a Gaza, subito ribattezzata Mar-a-Gaza, deportazione di 2,3 milioni di palestinesi da Gaza, completa carta bianca a Netanyahu di completare il suo “operato”.

Nel conflitto in Ucraina, totale delegittimazione di Zelensky, in termini addirittura offensivi, riabilitazione di Putin, esclusione dell’Europa dal tavolo delle trattative, niente più armi per Kiev, anzi, perentoria (e salata al di là di ogni ragionevolezza) richiesta di compensazioni in materiali pregiati per le forniture di armi già effettuate da Biden. Il tutto rafforzato dalla totale negazione che la Russia sia stata il paese aggressore.

Il principio fondamentale sembra essere l’idea di ricostituire un asse con Putin (tra dittatori in pectore si intendono) per costruire un nuovo ordine mondiale e arginare l’impetuosa crescita cinese e quella di altri paesi emergenti, l’India, ad esempio.

Ultimo elemento, ma non meno importante, le continue intromissioni, dirette o indirette, nella sovranità degli altri Paesi, a cominciare dalle elezioni tedesche che si celebrano oggi.

Tutto questo in quattro settimane. Un terremoto. E, come ogni terremoto che si rispetti, ha squassato le strutture più deboli, più fragili, meno solide.

A parte il governo ucraino, con Zelensky sempre più isolato e disperato, i maggiori danni li sta subendo l’Europa, incerta, divisa, disorientata.

Basta guardare le espressioni dei leader europei nella foto del meeting di Parigi di qualche giorno fa. Riunione improduttiva, in cui gli ostruzionismi hanno prevalso sulle velleità di azione. Si va da Macron, rabbuiato per l’impossibilità di perseguire una nuova grandeur ponendosi alla guida dell’Europa, alla Meloni, molto infastidita, quasi a voler mostrare a Trump che lei c’era, ma in realtà non c’era, anche per non essere scavalcata nel trumpismo dall’alleato-rivale Salvini. Da Scholz, imbarazzato per la sua ormai prossima irrilevanza, alla von der Leyen, sempre più con la postura dell’austera educatrice di ragazze di buona famiglia, portatrice di buoni principi e nulla più.

Sembra proprio che il terremoto Trump stia disgregando quel poco di Europa che era riuscito a resistere ai sovranismi montanti da varie parti. 

Il giorno dopo l’insediamento del nuovo presidente americano scrivevo sul blog: quale Europa davanti a Trump, sarà gigante tra i giganti? E auspicavo che si riprendesse la logica degli Stati Uniti d’Europa, mai tanto necessari quanto in questo momento, per una politica estera ed una difesa comune, e con un debito comune per finanziare le spese necessarie per la difesa.

Anche Matteo Renzi, in una recente intervista, ha sostenuto la necessità di un nuovo patto tra Francia, Germania ed Italia, per rilanciare il progetto Europa, protagonista e non vassalla. Inutile dire che l’esito delle elezioni odierne in Germania sarà determinante. Ma quale sarà l’atteggiamento della nostra premier?

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Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.

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