La settimana appena trascorsa è stata caratterizzata dalle polemiche e dalle incandescenti sedute in parlamento sulla questione del criminale, pardon, del generale libico.
È così passata in secondo piano un’altra trovata del nostro governo, questa volta ad opera del Ministro dell’Istruzione e del Merito (sic!) Giuseppe Valditara. L’idea del ministro è che gli immigrati, se vogliono integrarsi e divenire cittadini italiani, devono conoscere la nostra lingua (il latino) e la nostra cultura (quella dell’antica Roma).
Personalmente sono sempre stato favorevole allo “ius scholae”, in quanto credo che sia giusto attribuire all’educazione e alla scuola un ruolo determinante sull’ottenimento della cittadinanza.
La scuola è lingua, cultura, storia, tradizione di un Paese. Frequentarla efficacemente per un ciclo completo è il modo migliore per integrarsi, nel senso di diventare parte integrante di una grande comunità, conoscerne i principi e i valori ed accoglierli.
Ma quando Valditara richiama il latino e la storia dell’antica Roma, mi sembra di scorgere il rigurgito della parodia di Roma antica, che fu propria del fascismo. Parodia, appunto, perché il fascismo della Roma antica prese soltanto gli aspetti esteriori e certamente meno significativi.
Mi confrontavo su questo con un mio amico, professore e grande latinista: Roma divenne un impero e sopravvisse per oltre mille anni come potenza politica e militare privilegiando l’eteroctonia rispetto all’autoctonia. Roma praticava il meticciato culturale, al punto da avere numerosi imperatori né romani né italici. Roma inserì nel suo pantheon le divinità dei popoli stranieri. Roma, infine, con la Constitutio Antoniniana, concesse la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero.
E allora se vogliamo imporre il latino e la storia dell’antica Roma, facciamolo sul serio, riprendendone questi aspetti di apertura, di rispetto e di integrazione che furono la forza di quell’impero.
È un momento storico molto complesso: in gran parte dell’Occidente le masse popolari sono impaurite dalla crisi economica e tendono ad affidarsi all’uomo o alla donna della provvidenza.
Il razzismo montante è il prodotto di una precisa strategia, che a chi ha poco o nulla addita come nemico il migrante, responsabile della mancanza di posti di lavoro, degli stipendi e delle pensioni sempre più inadeguati e della povertà sempre più diffusa, oltre che della mancanza di sicurezza. L’unica vera differenza rispetto ad allora è che il nemico non sono più gli ebrei, che anzi con Netanyahu divengono un modello da imitare, ma gli islamici e i neri.
Questa deriva etica e politica si potrà fermare solo se riusciremo a proporre una narrazione alternativa e a far comprendere che inclusione, libertà, mobilità, cittadinanza, in una parola il rispetto per i diritti umani di tutti, sono la sola via per il progresso civile ed anche economico. Anche ricorrendo all’esempio dell’antica Roma.
Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.