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MPS, MEDIOBANCA: IL MERCATO HA LE SUE REGOLE, MA LA POLITICA PARLI CHIARO

Quale che sarà l’epilogo dell’azzardata operazione del gruppo MPS che tenta con una OPS (offerta pubblica di scambio) di rilevare l’intero pacchetto azionario di Mediobanca, non si possono ascoltare gli interventi della Presidente del Consiglio Meloni e del Ministro delle Infrastrutture Salvini sull’argomento senza provare almeno un epidermico fastidio a causa della scarsa trasparenza nella narrazione (per non dire opacità fuorviante). 

La Presidente Meloni ha dichiarato che con questa operazione si mette in sicurezza il risparmio degli italiani, mentre il ministro Salvini ha rivendicato il merito della Lega che avrebbe salvato la Banca più antica del mondo. Con il massimo rispetto che nutriamo per il mercato, le sue regole e i suoi protagonisti crediamo che la cosa migliore sia sempre quella di guardare i fatti nella loro cruda, disarmante verità.

Proviamo allora ad elencare gli eventi salienti che riguardano il primo protagonista di questa operazione: MPS, la banca più antica del mondo.

Nel 2007 MPS ha acquistato dal Banco di Santander la Banca Antonveneta al prezzo di 9 mld di euro. A leggere i comunicati stampa MPS in quel periodo, si trattava di una straordinaria operazione che consolidava per MPS, già allora, il ruolo di terzo polo bancario con 3000 sportelli e circa 33 mila dipendenti. Dal 2008 al 2022, MPS ha effettuato ben 6 aumenti di capitale per il valore complessivo di 26 mld di euro. Oggi il suo valore di borsa è di circa 8 mld e il MPS è presente sul territorio nazionale con 1.350 filiali e 16.800 dipendenti.

In 14 anni, quindi, sono stati “bruciati” più di 17 mld, sono stati dismessi 1.650 sportelli e c’è stata una riduzione di 16 mila dipendenti (uscite volontarie, prepensionamenti, esternalizzazioni, mancato turnover). Questa non è una presa di posizione, è la semplice esposizione dei fatti espressi da numeri: la maggior parte dei piccoli investitori (unitamente alla fondazione MPS) che hanno sostenuto i 5 aumenti di capitale dal 2008 al 2017 (tralasciamo l’aumento del 2022, sul quale torneremo) ha complessivamente visto evaporare 17 mld di risparmi.

Un intervento a parte merita la presenza dello Stato nel capitale MPS.

Semplificando molto, l’operazione Antonveneta è stata un vero disastro ma, anche a prescindere da questo, MPS non ha brillato nella gestione corrente; lo Stato è dovuto intervenire più volte, sia acquistando obbligazioni MPS fino al 2012 (cosiddetti Tremonti Bond e Monti Bond), sia sottoscrivendo (nel 2017) con un investimento di 5,4 mld (governo Gentiloni) l’aumento di capitale precauzionale “consigliato” dall’EBA (Autorità Bancaria Europea) di 8,327 mld. Per effetto di queste operazioni la partecipazione dello Stato nel capitale MPS è arrivata al 68%.  

Infine, prima dell’aumento di capitale del 2022, il valore di Borsa di MPS si era praticamente azzerato e con la nuova operazione di aumento di capitale del 2022 di 2,5 mld (che aveva avuto il parere favorevole della BCE il 5 settembre 2022, cioè prima dell’insediamento del governo Meloni) lo Stato (governo Meloni) è dovuto ancora una volta intervenire sborsando altri 1,6 mld di euro.

Lo Stato ha complessivamente investito 7 mld in partecipazioni, il cui mantenimento può essere solo temporaneo e quindi a partire dal novembre 2023 ha effettuato tre dismissioni incassando in totale 2,7 mld. Oggi il MEF detiene l’11,7% del capitale MPS.

Anche qui due conti sono necessari. Sulla base dei numeri sopra riportati (totale investimento dello Stato in MPS: 7mld; totale incassi dello Stato da dismissioni: 2,7 mld; partecipazione residua dello Stato in MPS: 11,7%; valore di borsa attuale MPS: poco più di 8 mld; valore residuo della partecipazione dello Stato: circa 1 mld) si può valutare una perdita per lo Stato di quasi 3,5 mld.

Come possono rivendicare OGGI la Lega e il suo Ministro di punta il merito di aver salvato il MPS?  La verità, caro Ministro Salvini, è che i vari governi che hanno sostenuto il MPS dal 2008 in poi nei suoi vari e numerosi momenti di bisogno lo hanno fatto nell’interesse del Paese e proteggendo i risparmi dei cittadini senza strombazzamenti con serietà e sobrietà come si conviene.

Insomma, da quanto sommariamente illustrato, emerge che la banca più antica del mondo ha dovuto attraversare momenti molto difficili, il che ha determinato pesanti interventi finanziari da parte dello Stato, e ha richiesto/imposto anche tanti sacrifici al personale.

Negli ultimi anni sono state formulate diverse ipotesi finalizzate a stabilizzare il futuro di Mps. Tra queste possibili soluzioni, il governo Meloni aveva provato a coinvolgere l’AD di Unicredit che ha “graziosamente” declinato.

Fortunatamente a seguito del notevole incremento dei tassi registrato dalla fine del 2022 a quasi tutto il 2024 (i noti extraprofitti), il bilancio MPS come quello di tutte le banche ha beneficiato di elevati (e inaspettati) incrementi di redditività. Solo come tocco di colore al quadro a tinte fosche, ricordiamo l’annuncio del governo Meloni di una imminente apposita “extra tassazione” degli extra profitti, dapprima sbandierato e subito dopo ritirato per la posizione contraria di Forza Italia.

Dunque, ad onore del vero non sembra che l’azione di risanamento di MPS dipenda tanto da un improvviso quanto straordinario miglioramento delle capacità della Banca di affrontare il mercato.

Ma allora è lecito domandarsi: come nasce all’improvviso questa voglia di protagonismo di MPS? Proviamo a dare una possibile (e verosimile) spiegazione.  

Intanto è opportuno evidenziare che MPS ha accumulato Crediti fiscali differibili (DTA) per 2,9 mld di euro, da utilizzare nei prossimi 5 anni come crediti di imposta (questo i soci lo hanno ben chiaro). Con l’ultimo aumento di Capitale sociale di 2,5 mld l’azionariato di riferimento di MPS è così composto: MEF detiene l’11,7%, Delfin (cassaforte del gruppo Del Vecchio) detiene il 9,9%, il gruppo Caltagirone detiene il 5%, banco BPM controlla il 5% e Anima sgr ha in portafoglio il 4%.

E’ noto al mercato che la Delfin e il gruppo Caltagirone detengono partecipazioni importanti in Mediobanca (più esattamente la Delfin detiene il 19,8% e il gruppo Caltagirone il 7,8%). Di conseguenza l’ipotizzato incrocio di partecipazioni porterebbe il Gruppo Del Vecchio con la Delfin a essere socio del nuovo gruppo MPS Mediobanca con una partecipazione rilevante del 16%, con Caltagirone come secondo socio all’8% e il MEF come terzo socio con una partecipazione del 5% che andrebbe comunque successivamente dismessa.

Non è finita qui. Mediobanca è infatti anche il maggior azionista di Generali (13,1%) che, di nuovo, vede nel suo capitale il gruppo Del Vecchio Delfin (9,9%) e il gruppo Caltagirone (6,92%) che a questo punto diventerebbero, con molta probabilità, anche i soci più forti dentro Generali.

Questa è la verità. Una importante operazione di mercato da parte di potenti investitori.

La Presidente del Consiglio vorrebbe convincere noi (e francamente dubitiamo che ne sia convinta lei stessa) che questi due gruppi intendono portare a termine questa operazione con la primaria intenzione di proteggere i risparmi degli italiani. In realtà gruppi di caratura internazionale come Delfin (con sede in Lussemburgo) e Caltagirone (che ha la sede della Cementir Holding in Olanda) hanno semplicemente l’interesse di fare un buon investimento e decidere da chi fare gestire i risparmi degli Italiani. Il loro successo sarà vantaggioso per la sicurezza dei risparmi degli italiani, ma il primo proposito, del tutto legittimamente, è un altro: per favore, diciamo le cose come stanno. Con trasparenza.    

Mario Mancuso
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Mario Mancuso, già dirigente del Monte dei Paschi di Siena, è stato componente del CdA del Fondo nazionale pensione complementare della scuola, componente del consiglio direttivo della CCIAA di Siracusa, dirigente sindacale del settore credito. Artista poliedrico ha curato regie teatrali amatoriali, e partecipato a collettive e mostre personali di pittura. È laureato in Scienze e tecniche Psicologiche.

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