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REARM EUROPE? SERVE UN’ALTRA STRATEGIA PER LA DIFESA DELL’EUROPA

Il piano ReArm Europe ha determinato furiose polemiche e profonde spaccature in Italia, all’interno delle coalizioni, ma anche all’interno degli stessi partiti, come nel caso del PD. E anche i sondaggi più recenti dimostrano un paese sostanzialmente diviso a metà sulla proposta della von der Leyen. 

In realtà, come ha detto anche Maria Elena Boschi in una recente intervista, il piano è fumoso e ideologico. E, aggiungo io, anche alquanto contraddittorio ed incerto.

Il piano, infatti, prevede una parte di spesa, nettamente prevalente, che guarda al riarmo “indipendente” dei singoli Stati ed una porzione, importante, ma di peso economico nettamente inferiore, che auspica progetti di rafforzamento “congiunto” e “coordinato” tra Paesi europei.

A parole, la von der Leyen e i suoi sostenitori parlano della necessità di una difesa europea, di un maggior coordinamento, della volontà di evitare sprechi e duplicazioni.

Nella realtà, i primi 650 miliardi di euro – cifra gigantesca, ma virtuale – non prevedono alcuna azione mirata alla difesa comune europea, ma costituiscono le premesse al riarmo che ogni Paese potrà attuare, gravando sul suo bilancio e realizzandolo secondo le proprie autonome decisioni. In altri termini ad ogni Paese è “consentito” di incrementare la spesa militare per una cifra pari all’1,5% del suo prodotto interno lordo senza questa somma andrà a pesare sui parametri di equilibrio economico del bilancio che l’Europa si è data. 

E allora è lecito immaginare che i Paesi che potranno permettersi di appesantire il loro bilancio continueranno a comprare 14 tipi di carri armati diversi (perseverando nell’errore già denunciato da Draghi nel suo Rapporto), ma anche sistemi di armamento tra di loro non coordinati né integrabili.

Insomma, in questa parte del piano, di gran lunga quella prevalente, manca la visione comune che ci si aspetterebbe dalla massima istituzione europea. Sembra il frutto di un compromesso al ribasso, in cui non si parla di un unico comando integrato, né di una capacità unica di deterrenza da parte dell’Europa. Ogni Paese potrà, se vuole e può permetterselo, rafforzare il suo esercito, continuando a comprare armi fuori dall’Europa. Lì andranno prevalentemente i 650 miliardi virtuali. Tutto qui.

E, naturalmente, non voglio neanche prendere in considerazione la possibilità che un Paese possa destinare le risorse dei Fondi Sviluppo e Coesione all’acquisto di armi, possibilità che la von der Leyen non nega. Sarebbe massimamente scellerato. 

Molto più sensata (e orientata verso la difesa comune) è la seconda parte del piano: 150 miliardi, comunque parecchi, sotto forma di prestiti cui potranno attingere i Paesi per progetti congiunti, integrati e che prevedano il coinvolgimento di aziende europee.

Secondo le ultime informazioni disponibili, il Libro Bianco della difesa che la Commissione europea si accinge a presentare, prevede infatti acquisti congiunti di armi (come avvenne per i vaccini durante il Covid), con l’indicazione di ricorrere ad imprese produttrici europee per almeno il 35% dei contratti.

E allora speriamo davvero che nelle prossime settimane ci sia ancora spazio per correzioni ed integrazioni che valorizzino la seconda parte del piano. 

I singoli Paesi europei spendono già moltissimo in armi, nel loro complesso più della Cina, molto di più della Russia. Quello che maggiormente serve non è un ulteriore potenziamento dei singoli eserciti, ma una maggiore integrazione degli stessi nel quadro dell’Europa, nel comando e nelle strategie, anche e soprattutto quelle relative alla scelta degli armamenti. 

Serve un ombrello nucleare comune per la deterrenza. Serve infine la valorizzazione delle imprese europee, anche per dare respiro ad un sistema manifatturiero che continua ad evidenziare preoccupanti segni di crisi.   

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Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.

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1 commento

  1. È un primo passo importante verso una reale integrazione della politica estera e della difesa. E Macron e Starmer hanno già proposto di mettere a disposizione dell’UE la loro capacità di deterrenza atomica. Tra i settori che vanno potenziati vanno senz’altro privilegiati quelli della cybersecurity e della guerra ibrida. Su Il Foglio di oggi l’articolo sul virus Covid/19, un coronavirus ingegnerizzato uscito per sbaglio da un laboratorio militare per la guerra batteriologica di Wuhan, è sconvolgente e spiega molte cose di quel che è successo, dalle molte migliaia di morti ( soprattutto quelle iniziali cinesi, a Wuhan cadevano stecchiti come mosche in strada e in tram) alle politiche comuni per le campagne vaccinali. È uno scenario inquietante che però potrebbe spiegare bene la preoccupazione dei maggior leader europei sulla necessità impellente di difesa. I pericoli della guerra hanno molti volti.

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