Il Presidente della Regione ha indetto per domenica 27 aprile, in Sicilia, le elezioni di secondo livello per scegliere i presidenti e i consiglieri dei Liberi consorzi comunali di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani e i componenti delle assemblee delle Città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. Hanno diritto di voto gli organi elettivi comunali in carica alla data delle elezioni degli enti di area vasta.
Il decreto dovrebbe chiudere una vicenda sui cui, negli ultimi anni, si sono riversati un numero vertiginoso di atti normativi, amministrativi e giurisdizionali. Le Province (e Comuni) sono state dopo l’unificazione italiana (1860) i soli enti pubblici diversi dallo Stato. In Sicilia, ai sensi dello Statuto del 1946 (art. 15), le Province avrebbero dovuto essere soppresse e sostituite da Liberi consorzi di comuni.
Negli ultimi 10-15 anni si è sviluppato in Italia un ampio dibattito, che ha posto in discussione il ruolo delle Province e sostenuto la loro soppressione, considerato lo squilibrio fra i costi che esse comportano e l’esiguità delle funzioni.
In particolare, la legge n. 56/2014 (c.d. legge Delrio) ha avviato importanti modifiche dell’ordinamento delle Province, e ha definito le Province e le Città metropolitane come enti territoriali di area vasta. Caratteristica comune degli enti di area vasta è che i loro organi non sono eletti direttamente ma con sistema di secondo grado. Sindaco metropolitano è il sindaco del comune capoluogo. Presidente della Provincia, invece, è il sindaco di un comune di provincia, eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia con voto ponderato. Tutti gli incarichi sono esercitati a titolo gratuito.
La legge regionale n. 15 del 2015, a sua volta, ha istituito in Sicilia i liberi Consorzi comunali e le Città metropolitane. La riforma, che mutava l’assetto degli enti locali, mirava invece a mantenere la elettività degli organi e la indennità delle cariche dei medesimi: operazione che non è andata porto per l’esito negativo dei giudizi di costituzionalità della legge.
La Corte costituzionale ha evidenziato che «Il “modello di governo di secondo grado”, adottato dal legislatore statale, diversamente da quanto sostenuto dalla Regione, rientra, tra gli «aspetti essenziali» del complesso disegno riformatore che si riflette nella legge stessa. I previsti meccanismi di elezione indiretta degli organi di vertice dei nuovi «enti di area vasta» sono, infatti, funzionali al perseguito obiettivo di semplificazione dell’ordinamento degli enti territoriali, nel quadro della ridisegnata geografia istituzionale, e contestualmente rispondono ad un fisiologico fine di risparmio dei costi connessi all’elezione diretta».
Quanto alla possibilità per la Regione di distaccarsi dalle scelte compiute a livello nazionale nell’esercizio della propria competenza esclusiva in tema di enti locali, la Consulta ha affermato che «Le disposizioni sulla elezione indiretta degli organi territoriali, contenute nella legge n. 56 del 2014, si qualificano, dunque, come «norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che, in base all’art. 14 dello statuto speciale per la regione siciliana, costituiscono un limite anche all’esercizio delle competenze legislative di tipo esclusivo» (Sent. n. 168/2018).
Due riflessioni finali.
La prima. I partiti, dopo l’abolizione del finanziamento pubblico (l. n. 13/2014), si sono messi alla «ricerca» di forme alternative di remunerazione dei professionisti della politica. Cosicché, senza nessuna vergogna, discostandosi dal modello nazionale, la trasformazione delle Province operata in Sicilia mirava a moltiplicare e creare «posti di lavoro» aggiuntivi.
La seconda. Nell’era di una politica priva di spazio e qualità morali, i partiti dovrebbero farsi portatori almeno di buona amministrazione locale, recuperando il rapporto con le realtà territoriali come organizzazioni capaci di buona amministrazione. Ci si deve impegnare con proposte concrete, basate su analisi complete dei fattori e delle condizioni esistenti, di cui si assume come soggetto politico la responsabilità culturale e amministrativa.

Felice Blando
Felice Blando è ricercatore confermato di Istituzioni di diritto pubblico nel Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Palermo. Insegna Istituzioni di diritto pubblico nei corsi di Scienze delle attività motorie e sportive e Scienze della formazione primaria dell’Università di Palermo e Tecniche alternative di risoluzione delle controversie nel corso di Consulente giuridico d’impresa del Polo di Trapani. Ha scritto più di 50 saggi, orientati soprattutto alle materie delle forme di governo e delle forme di Stato, dei partiti politici e del diritto sportivo. Come avvocato svolge il ruolo di curatore di eredità giacente presso il Tribunale di Palermo.