Ursula von der Leyen ha lanciato il suo programma per il riarmo dell’Europa.
La sua visione, che deriva dall’ormai evidente e dichiarata volontà di disimpegno di Trump nei confronti dello scenario europeo, è che l’Europa debba essere in grado di provvedere autonomamente alla sua difesa. Tutto ciò rende necessario il riarmo del continente, sostiene la Presidente della Commissione.
Chi, come me, ha creduto e continua a credere nel progetto degli Stati Uniti d’Europa, sino a candidarsi alle ultime elezioni del giugno scorso, non può che condividere l’idea di un’Europa forte, attore protagonista nelle complesse dinamiche geopolitiche mondiali, in grado di intervenire con autorevolezza per la soluzione delle situazioni di crisi e di conflitto.
Ed è evidente che tutto questo richiede una difesa ed un esercito comune europeo, non necessariamente con la stessa divisa, ma certamente sotto un comando unico, un’organizzazione ed una logistica unica, con una strategia unica. Aggiungo, con un ombrello nucleare condiviso, sempre più necessario per assicurare la deterrenza. Una NATO europea, come proprio in questi giorni qualcuno ha correttamente proposto.
Ma è proprio questo quello che manca nel progetto della von der Leyen, che nei cinque punti presentati qualche giorno fa, si limita a parlare della copertura economica del riarmo, arrivando a calcolare l’importante cifra di 800 miliardi di euro.
Di essi 650 miliardi sono stimati assumendo che ogni Stato membro incrementi dell’1,5% del PIL le spese per la difesa già previste sul suo bilancio, con la concessione che queste ulteriori spese a carico dei singoli Paesi non saranno tenute in considerazione nel calcolo dei vincoli di bilancio che la Commissione valuta sui singoli Stati pena l’avvio di procedure di infrazione.
Quanto agli altri 150 miliardi, il piano prevede la creazione di uno strumento per prestiti ai singoli Stati, volto ad invogliarli ad acquisti congiunti nella logica di una strategia di procurement comune, ma senza che sia prevista la creazione di un debito comune europeo.
Addirittura, nel terzo dei cinque punti, viene ipotizzato che gli Stati membri possono destinare alla difesa risorse tratte dai Fondi per la Coesione, scelta che sarebbe particolarmente grave per la Sicilia dal momento che questi fondi dovrebbero servire per colmare i divari territoriali delle regioni più arretrate, non per comprare armi.
Il piano della von der Leyen, insomma, pur partendo dall’obiettivo condivisibile di voler rendere autonoma l’Europa nella difesa e quindi più autorevole nel contesto internazionale, sembra più volto a riarmare i singoli Stati che non a puntare ad una difesa comune, l’unica realmente efficace. Non è prevista la creazione di strumenti di debito comune europeo per finanziare la difesa europea, non si parla di un esercito europeo.
In realtà, il problema dell’Europa non è, già adesso, l’entità complessiva della spesa militare. Questa considerazione appare evidente analizzando qualche dato di confronto, fornito dall’International Institute for Strategic Studies, nel suo rapporto annuale “The Military balance”.
Nel 2023 la spesa militare mondiale è arrivata alla cifra di 2.200 miliardi di dollari (+9% rispetto all’anno precedente). Gli Stati Uniti si posizionano al primo posto, con 905 miliardi, la Cina al secondo (219 miliardi) e la Russia al terzo (108 miliardi), ma mettendo insieme anche soltanto Gran Bretagna (73 miliardi), Germania (64 miliardi), Francia (60 miliardi) ed Italia (33 miliardi), si arriva a 230 miliardi di dollari. Il doppio della Russia, un po’ di più della Cina.
Più che aumentare i fondi, quindi, la priorità dovrebbe essere un loro impiego più razionale ed efficace. La priorità è il maggiore coordinamento tra gli Stati e la redistribuzione delle risorse verso armamenti e tecnologie avanzate, nonché una maggiore integrazione tra i sistemi di difesa europei per garantire un utilizzo più efficiente delle risorse, riducendo sprechi e duplicazioni. A che servono tante tipologie diverse di carri armati o di caccia?
Non serve spendere più soldi per i singoli eserciti a valere sui bilanci dei singoli Stati, ancor meno prendendoli dai Fondi di Coesione. Quello che serve è la visione di un esercito comune, nel quadro degli Stati Uniti d’Europa.
Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.
Caro Fabrizio, condivido pienamente le tue riflessioni. La priorità da perseguire consiste in un’azione politica coesa e unitaria dell’Unione Europea tesa alla costituzione degli “Stati Uniti d’Europa”. Non vi è altra strada, prioritariamente perseguibile, in difesa dei valori della Democrazia e della Libertà, messi a rischio dallo strategico, dilagante sovranismo dittatoriale di altri “stati uniti”. Soltanto la piena, sodale e reale Unità Europea ci potrà salvare dai pericoli incombenti.
Mi trovavo a Parigi qualche giorno fa e ho ascoltato in tivù il gran discorso di Macron. Mi ha colpito per varie ragioni, la prima è che il presidente francese parlava direttamente ai cittadini di un problema urgente e di valenza storica, alla vigilia del summit europeo che avrebbe stabilito il riarmo, mentre in Italia il governo nemmeno si presenta in parlamento: né prima, né dopo il consiglio straordinario europeo. Ma ancora di più oggi la posizione della Francia appare lucida e realista. Gli osservatori scrivono che la decisione di Trump di togliere all’Ucraina l’appoggio della rete satellitare sta consegnando a Putin una vittoria militare sul terreno e su cittadini inermi. Oggettivamente, Trump sta aiutando “militarmente” Putin e il suo regime, che invece è sfibrato da anni di sanzioni, di perdite umane, da un’economia in crisi e prossima al collasso, come prospettano da tempo i dissidenti russi. Ed è di oggi la decisione di spostare 35.000 soldati americani dalla Germania all’Ungheria di Orban: alle spalle dell’Ucraina, ha il sapore di un’ennesima minaccia a Zelensky, che si vuole arrivi in ginocchio ad eventuali tavoli di tregua..È uno scenario inconcepibile per noi ma questa è la realtà. Trump tradisce l’Europa e soprattutto sta tradendo l’America, dove infatti si manifestano i primi germi di una protesta popolare, causata dai licenziamenti in massa decisi da Musk che allarmano persino il gabinetto presidenziale. È il “Complotto contro l’America” scritto nel 2004 da Philip Roth: i grandi scrittori, che sentono prima degli altri gli umori del proprio tempo, hanno spesso virtù profetiche. Nel romanzo, almeno nel romanzo, alla fine vince la Democrazia americana, quella di Washington e di de Tocqueville e di Roosevelt per intenderci.
(https://www.ilfoglio.it/esteri/2025/03/06/news/la-russia-ci-minaccia-tutti-le-parole-di-emmanuel-macron-7492528/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3rv_vKr8v87SliGJHZPVOaHFWWAH4GKbzTuwBNAPZ89CFJRRTvk-Fome8_aem_KbS6mzif8N7FZO8hNk7kxw)
Non serve nemmeno comprare armi dagli americani o da altri, non serve produrre cannoni o carri armati da vendere poi a terzi per fare guerre su commissione. Serve unificare Sistemi di Intelligence dotandoli di adeguata copertura satellitare autonoma,serve potenziare ed unificare i sistemi di difesa anti aerei, anti missile e anti drone