Elon Musk ha lanciato in questi giorni il movimento nazionalista Mega. Un movimento per unire le destre contro la UE.
Gli annunci di Musk hanno ormai sempre più il carattere di veri manifesti ideologici. Annunci interamente proiettati sui tempi che ci aspettano, che suggeriscono alla destra europea un’autentica riconversione neo-trumpiana: vitalismo consumistico, esaltazione del privato, destrutturazione delle regole, liberalismo spinto.
Il nuovo clima non è incoraggiante per la democrazia, né in Europa né in America. Non è solo questione di risultati elettorali. È la forza di irradiamento ideologico – quella che negli ultimi trent’anni ha sostanzialmente dettato la forma politica del mondo, arrivando a condizionare non poco anche Obama e Merkel – che appare intrinsecamente legata ad un modello oggi imperante.
Di qui nasce l’invito di Mattarella a valutare le «faglie di rottura» che abbiamo dinanzi: «La concentrazione in pochissime mani di enormi capitali e del potere tecnologico, così come il controllo accentrato di dati determinano una condizione di grave rischio. Sembra che – come in una dimensione separata e parallela rispetto alla generalità dell’umanità – si persegua la ricchezza come fine a sé stessa; in realtà come strumento di potere molto più che in passato perché consente di essere svincolati da qualunque effettiva autorità pubblica».
In Musk, controllo delle moderne tecnologie e ricchezza sono chiusi in un abbraccio reciproco: è un potere che dilaga fuori dall’area dell’economia e arriva nelle sfere non economiche – politica, sicurezza, giustizia. Una forma di dominio radicata nella vita moderna, resa possibile dalla rivoluzione tecnologica.
È possibile porre un freno? Esemplificando: bisognerebbe chiedersi se sia conforme ai principi democratici che un’accumulazione di ricchezza personale che rifiuta ogni legge che non sia la propria legge di indefinito accrescimento e dominio non vada anch’essa “regolata”. Posto l’interrogativo, e sollevato il dubbio, la risposta deve essere negativa.
Negli Stati a «struttura capitalistica», nei quali appunto si tende a realizzare lo sviluppo economico massimo possibile, vigono due principi fondamentali: 1) non esiste limite al reddito che ciascun individuo può ottenere nel tempo (e conseguentemente non esiste limite alle differenze di reddito); 2) non esiste limite al patrimonio che ciascun soggetto può accumulare in vita e trasmettere agli eredi.
Si tratta, più precisamente, di una logica che deprime le potenzialità di molte promesse contenute nelle costituzioni. Perché quand’anche le leggi volessero diminuire la disparità di reddito e di patrimoni, i meccanismi economici che per forza loro – e cioè avvalendosi della libertà – portano a queste disparità di reddito e di patrimoni stanno tutti dentro le costituzioni.
Questa semplice elencazione ci mette davanti non soltanto allo scarto inevitabile tra l’ideale e il reale, ma, purtroppo, anche all’abisso oggi esistente tra le condizioni elementari per l’esistenza e il funzionamento di un regime democratico e le condizioni effettive in cui pochi individui riescono ad imporre interessi minoritari.
Se si considera tutto ciò, si ripropone l’esigenza di una politica capace di informarsi ad una prospettiva più ampia di realizzazione della Costituzione, ed in particolare del principio di uguaglianza in senso sostanziale, con continuità, anziché curarsi soprattutto di assecondare i propri interessi di corto raggio, che sono quelli rivolti alla conservazione del potere.
La sfida che occuperà la politica di autentica tradizione socialdemocratica sarà nella tutela della uguaglianza e della dignità umana nella vertiginosa evoluzione collegata ai sempre più veloci mutamenti che ci pone di fronte il progresso scientifico.
Sarebbe insensato, oltre che illusorio, opporsi al progresso stimolato da soggetti privati che, perseguendo i loro fini di accumulazione di guadagno finanziario, contribuiscono allo sviluppo economico complessivo. Il compito difficile è quello di cogliere il progresso come opportunità per usufruire dei vantaggi che ci offre e per pagare gli inevitabili prezzi nella misura minore possibile.

Felice Blando
Felice Blando è ricercatore confermato di Istituzioni di diritto pubblico nel Dipartimento di giurisprudenza dell’Università Palermo. Insegna Istituzioni di diritto pubblico nei corsi di Scienze delle attività motorie e sportive e Scienze della formazione primaria dell’Università di Palermo e Tecniche alternative di risoluzione delle controversie nel corso di Consulente giuridico d’impresa del Polo di Trapani. Ha scritto più di 50 saggi, orientati soprattutto alle materie delle forme di governo e delle forme di Stato, dei partiti politici e del diritto sportivo. Come avvocato svolge il ruolo di curatore di eredità giacente presso il Tribunale di Palermo.