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FRANCESCHINI PENSA A VINCERE. MA UNA VITTORIA SENZA UN GOVERNO?

Intese solide richiedono tempi lunghi di confronto e sintesi difficili”, scrive Giovanni Pepi nel suo ultimo pezzo, riferendosi al dibattito in corso nel centro-sinistra per costruire una coalizione in grado di battere la Meloni.

È un dibattito che si è acceso nelle ultime settimane, parallelamente e naturalmente in antitesi alla nuova ed ulteriore involuzione della destra di governo, ma anche, direi, alla marea nera che sta sommergendo il mondo. Un osservatore minimamente attento non può non avvertire il progressivo arretramento delle democrazie insieme alla crescita delle autocrazie; non può non notare la sempre più marcata compressione o addirittura la negazione di diritti che si pensavano acquisiti.

Ma anche in Italia: la logica perversa della destra secondo la quale la legittimazione popolare attraverso il voto permette alla maggioranza un potere praticamente assoluto, al di sopra e al di fuori del Parlamento e della stessa Costituzione repubblicana, chiede una risposta ed impone un obiettivo: costruire un fronte in grado di battere la destra alle elezioni, ma anche che costituisca un’alternativa di governo credibile, spendibile, appetibile per un elettorato sempre più distante dalla Politica.

Al primo obiettivo ha provato a rispondere Dario Franceschini, certamente uno degli esponenti di maggiore spicco del PD, che ha lanciato una proposta certamente originale: inutile, se non addirittura impossibile, cercare di costruire una coalizione. Serve realismo: la destra si batte marciando divisi sul proporzionale e stringendo soltanto un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali.

Analisi fredda e cinica, basata sull’osservazione dei comportamenti dei leader dei partiti di centro-sinistra, a partire da Conte, per non parlare di Bonelli e Fratoianni. Ad ogni passo avanti nel senso di una coalizione (la battaglia comune contro l’Autonomia Differenziata, la difesa della Sanità pubblica, ad esempio), immediati sono i distinguo e le intransigenti affermazioni della propria diversa identità: la Pace, l’Ucraina, la questione energetica… 

L’idea di un programma condiviso sembra oggi vicina quanto Messina e Villa San Giovanni collegate dal Ponte. Meglio che ognuno vada per sé, valorizzando le differenze (ha esultato Conte), sfruttandole per spremere il più possibile il proprio elettorato e strapparne qualche fettina agli avversari.  

Sulla proposta di Franceschini avrà pesato anche che la considerazione storica che anche la vittoriosa campagna di Prodi nel 1996 contro Berlusconi si giovò di un patto di «desistenza» elettorale con Rifondazione Comunista: Bertinotti evitò di presentarsi nella maggior parte dei collegi uninominali, invitando i suoi elettori a votare per i candidati dell’Ulivo, in cambio della reciproca disponibilità della coalizione nei collegi residui. Ma anche la discesa in campo di Berlusconi e la successiva vittoria nel 1994 avvennero grazie ad alleanze dissimmetriche con la Lega al Nord e con Fini al centro-sud. 

Insomma, questi stratagemmi tattici possono funzionare per vincere le elezioni. Il lodo Franceschini forse potrebbe bastare per vincere se si riuscirà a mettere tutti i leader dei partiti del centro-sinistra intorno ad un tavolo per cercare un’intesa, almeno nei collegi uninominali. 

Ma dopo? Basterà l’euforia della vittoria per trovare un’intesa per governare? Gli esempi del 1994 e del 1996 non sono confortanti. Né lo è il contratto di governo M5S-Lega del 2018, situazione in fondo non dissimile da quelle di cui stiamo parlando. Tutte esperienze fallite in pochi mesi, al massimo in un paio di anni.

Ci sono ancora due anni e mezzo prima delle elezioni nazionali. Non credo sia ancora il tempo di rinunciare a qualunque ipotesi di coalizione, a cercare un’intesa credibile ed appetibile per l’elettorato, e adottare, già adesso, il lodo Franceschini, che, invece, può certamente rappresentare una extrema ratio alla quale appellarsi sei mesi prima del voto. 

C’è ancora tempo, direbbe la Cortellesi. Speriamo ci sia anche l’intelligenza di farlo. 

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Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.

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