Caro Davide. Ho letto con l’interesse di sempre il tuo articolo su Trump.
Siamo davanti a un vulcano a eruzione rapida. È vero. Ai provvedimenti che tu indichi si aggiungono ora i dazi. Sempre con un colpo di penna, ben esibito, l’economia mondiale sarà da oggi sconvolta. Si possono aggiungere altri orrori, dal nuovo nome al golfo Messico, alla legge su uomo e donna, L’elenco è lungo. Il tempo di decisione fulmineo. Siamo a velocità che, in democrazia, la politica non conosce.
E noi? Ecco la domanda cruciale che l’Occidente deve porre e porsi. Tu scrivi: “Una società inclusiva messa in discussione da una persona che esprime concetti pericolosissimi che non diventano buoni semplicemente perché ad affermarli è il Presidente degli Stati Uniti d’America. Un uomo che naturalmente sdogana i Vannacci sparsi per il mondo, quelli che chiedono deportazioni, esaltano la purezza della razza…”.
Un uomo? Solo un uomo? Credo che la dimensione sia diversa. Valter Veltroni sul Corriere della Sera, scriveva l’altro giorno: “Trump ha preso tre milioni di voti in più del 2020, ma i democratici ne hanno perduti sei e non è certo dipeso solo dal candidato. Se vuole, come è possibile, tornare a conquistare consenso, il pensiero democratico deve trovare soluzioni nuove, armoniche con la sua identità, capaci di parlare alle inedite forme di disagio, specie tra i più deboli…”
Tre milioni in più contro sei in meno. Non è questo il problema? Io credo di si. Abbiamo vissuto un tempo lungo credendo che le democrazie non potessero regredire e che le autocrazie non potessero progredire. Sta succedendo di più e di peggio. Non solo le autocrazie avanzano. Ma le democrazie, quando non si dissolvono, si svuotano.
Lo vediamo nella nostra Italia dove il parlamento è uno spazio estinto al servizio dell’Esecutivo, dove i partiti detengono un potere di decisione enorme rispetto al consenso nella società, dove i cittadini voltano le spalle alle urne e siamo a minimi storici che sempre arretrano di partecipanti al voto.
E questo è venuto negli anni che abbiamo alle spalle, ammettiamolo, non solo ora quando governa la destra. E allora? Perché tutto questo? Non solo in Italia. Perché la società della Politica è lontana, sempre più lontana, dalla società. Perché si incrociano contraddizioni e paradossi. Si allarga l’area dei bisogni sociali, in misura ben maggiore di quella dei diritti civili.
Ma per soddisfare i bisogni sociali, dal potere d’acquisto alla Sanità alla Scuola, bisogna impegnare risorse che non ci sono. Perché ci siano, è necessaria una crescita economica che non c’è e non si vede (i buoni risultati in tempi recenti su occupazione e PIL sono ormai all’esaurimento).
Citavo qualche settimana fa, un saggio di Francesco Daveri sulla Voce, in cui si dimostrava, osservando i grafici degli ultimi dieci anni, che non c’è crescita senza industria e non c’è occupazione solida senza crescita. Ora Matteo Renzi preannuncia una carta in dieci punti sulla base della quale discutere un programma del centro sinistra nelle forme che potrà nascere. Ottimo proposito.
L’industria è nei nostri cromosomi (Renzi ha condotto in porto riforme storiche) Ma su questo vedo ambiguo il Pd e lontana AVS. Di Conte si capisce poco. L’economia è questione forte. Che si aggiunge alle altre che, in parte almeno, con essa si connettono: dalle guerre all’immigrazione, dalla riforma della Giustizia alla riforma del Potere, dagli stipendi al Mezzogiorno.
Caro Davide, sai meglio di me, quali distanze ci sono fra noi e gli altri. Intese solide richiedono tempi lunghi di confronto e sintesi difficili. Tu dici spesso, negli incontri che si svolgono nel partito: abbiamo tempo, fortunatamente ci sono ancora tre anni. Ma i tempi stringono… Stringono sempre.
Un giornalista che scrive, parla e fotografa. Una passione: la bici da corsa. Un sogno: riuscire a far capire anche quello che non capisco.