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L’ITALIA E’ FERMA E LA POLITICA SI MUOVE A VUOTO SENZA PROPOSTE PER LO SVILUPPO

Lo scorso fine settimana si sono svolti i due convegni riconducibili a cespugli riformisti del PD: il primo a Milano, organizzato da Delrio, con la partecipazione di Prodi e della new entry Ruffini, più marcatamente vicino al mondo cattolico; il secondo ad Orvieto, di impronta liberaldemocratica, con la presenza qualificante dell’ex premier Gentiloni. In entrambi i casi, l’obiettivo dichiarato era offrire una nuova prospettiva politica riformista e di centro-sinistra da parte di gruppi al momento marginalizzati rispetto ai vertici del PD.

Per la verità, le attese sono rimaste deluse, almeno in larga parte. I convegni sono sembrati più il tentativo di rafforzare le posizioni delle proprie correnti all’interno del PD, che il voler aprire una nuova proposta politica in grado di richiamare nuovo elettorato. 

Esclusa una nuova aggregazione (cattolica o meno) che possa affiancare al centro il Partito Democratico, anzi ribadita la fedeltà al PD, pur con qualche critica smorzata alla Schlein, l’unica proposta da Milano è stata la creazione di una alleanza Ursula in salsa italiana, subito rispedita al mittente dagli interlocutori. Qualche spunto interessante solo da Gentiloni ad Orvieto, che ha richiamato l’attenzione al potere d’acquisto del ceto medio (i penultimi), alla questione industriale ed alla sicurezza nelle città, tema ormai di appannaggio esclusivo della propaganda di destra.

Poco, in effetti, pochissimo se l’obiettivo è, come deve essere, risultare convincenti per attirare quell’elettorato che si è allontanato dalla politica ed alle elezioni si astiene, o che si è lasciato irretire dal falso mito della donna forte al comando e cade nelle sue mistificazioni. Ma anche per attirare quell’elettorato certamente antigovernativo e apertamente anti-sovranista, e che non si riconosce in un’offerta politica marcatamente di sinistra o riconducibile al populismo del M5S.

Ci vuole altro, e questo richiamo coinvolge anche noi che navighiamo in questo mare e che vogliamo e dobbiamo essere parte fondante della costruzione di quel Centro con il cuore che batte a sinistra che è fondamentale per il futuro del nostro Paese.

Ci vogliono progetti e proposte serie e concrete, a partire dalla questione industriale. Il Paese rallenta, la crescita del PIL si limita a qualche zero virgola. Le risorse non sono sufficienti per finanziare adeguatamente il welfare al quale siamo abituati, a partire da scuola e sanità, ed è certamente inimmaginabile introdurre maggiori tasse. Al di là della propaganda del Governo sui dati dell’occupazione, gli stipendi sono bassi ed il potere d’acquisto non solo degli ultimi, ma anche dei penultimi, crolla. La sinistra continua a parlare di redistribuzione della ricchezza, ma, intanto bisogna ricominciare a produrla, la ricchezza. E allora ritorna la questione industriale. Solo l’industria produce vera ricchezza.

Il vero problema è che il modello dell’Italia seconda manifattura d’Europa sta andando in crisi. L’Italia sta lasciando sul terreno pezzi della sua capacità produttiva, dall’automotive al lusso, all’industria degli elettrodomestici. Nell’ultimo anno l’industria dell’auto è crollata del 34%, tessile-abbigliamento del 6%, il bianco (l’elettrodomestico) del 15%. Simbolo della crisi sono l’eterno stallo della questione ILVA e la recente vendita di COMAU, vanto della robotica italiana. Reggiamo con sempre maggiore difficoltà il calo della richiesta mondiale, e la concorrenza non solo cinese (ormai tecnologicamente competitiva quanto e più dell’Europa), ma anche dell’Est Europa e della Spagna. Paghiamo un costo dell’energia elevatissimo, vero tallone d’Achille, ancor di più del costo del lavoro.

Serve una nuova politica industriale per sostenere questo settore, agevolando gli investimenti in beni strumentali, supportando la formazione tecnica e l’innovazione, agendo sul costo dell’energia. L’ultimo vero intervento di politica industriale in Italia fu il Piano Nazionale Industria 4.0, lanciato dal Governo Renzi nel 2016, e proseguito con il Governo Gentiloni, che diede ottimi risultati. È tempo di ricominciare a produrre.  

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Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.

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2 Commenti

  1. Come sostenuto da Fabrizio Micari, è davvero indispensabile, ai fini della sopravvivenza economica del paese, promuovere una reale e concreta politica industriale in grado di rilanciare quella capacità produttiva dell’Italia in continuità con quelle efficaci azioni politiche messe in atto dal Piano Nazionale Industria 4.0 del 2016. Ma perché tutto questo accada, occorre dismettere quegli abiti ideologico-esistenziali che spesso inducono ad una sorta di immobilità “storica”.
    Coesione, coerenza e senso della realtà.
    “È tempo di ricominciare a produrre”.

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