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MENO SCUOLA, PIU’ CATTIVI. NOI VEDIAMO, MA NON FACCIAMO

Chi studia diventa buono. Oggi tutti vanno a scuola, tutti stanno con gli occhi sui libri, e perciò in futuro avremo tanta di quella bontà che ci uscirà dalle orecchie. Se invece non si legge e non si studia, com’è successo a Lila, come è successo a tutti quanti noi, si resta cattivi, e la cattiveria è brutta”. Ho voluto aprire questa breve riflessione sulla scuola e sulla formazione, citando la serie “L’amica geniale”, successo di livello internazionale. Se non si studia, si resta cattivi. La scuola è fondamentale per la crescita della società. 

E la scuola è fondamentale per la costruzione dell’identità nazionale: lo ha autorevolmente affermato la recente sentenza n.192 della Corte costituzionale, che ha messo un freno al progetto di autonomia differenziata, sollevando dubbi di costituzionalità su sette punti della legge Calderoli, tra cui, in particolare, il trasferimento di competenze in materia scolastica. I giudici hanno sottolineato l’importanza di preservare la “valenza necessariamente generale ed unitaria” delle “norme generali sull’istruzione”, bloccando la possibilità di delegare alle Regioni la gestione di un settore così cruciale per il Paese.

Per questo ho sempre visto con favore la proposta di assegnare la cittadinanza italiana sulla base dello “ius scholae”, avanzata anni fa dai governi Renzi e Gentiloni e recentemente ripresa, ma subito ritirata, da Tajani e Forza Italia. La scuola è lingua, cultura, storia, tradizione di un Paese. Frequentarla efficacemente per un ciclo completo è il modo migliore per integrarsi, nel senso di diventare parte integrante di una grande comunità, conoscerne i principi e i valori ed accoglierli.

Molto di più dello “ius soli”, che può risultare casuale e a volte, “opportunistico”, ma anche delle forme di ius soli temperato, basate sulla concomitanza di permessi di soggiorno o rapporti lavorativi dei genitori.

Tutti elementi che affermano il valore della scuola. Purtroppo, da tanti, propugnato solo a parole. 

Come leggere diversamente il fatto che la spesa dell’Italia per l’istruzione nel 2022 è stata di circa 79 miliardi di euro, che la percentuale del Prodotto Interno Lordo destinata all’istruzione è di poco superiore al 4%, a fronte del 4,5% della media europea, del 5,5% della Francia, del 6,3% del Regno Unito, di Svezia e Danimarca? 

Per non parlare delle differenze tra Nord e Sud, certificate dallo SVIMEZ, di cui ha recentemente parlato su questo blog l’amica Rosanna Montalto, ma anche del taglio della dotazione organica complessiva dei docenti di 5.660 unità e del personale amministrativo, tecnico e ausiliario (Ata) di 2.174 unità, previsto dalla Legge di bilancio 2024.

Un Paese senza istruzione è un Paese senza futuro. È un Paese di cattivi. E ce ne andiamo rendendo conto sempre di più.

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Ingegnere, professore universitario, già rettore dell'Università di Palermo, nonno. E' stato candidato alla carica di governatore della Regione siciliana nel 2017 con la coalizione di centrosinistra.

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