Nel 2017 il Governo Renzi lanciò il programma “Resto al Sud” per contrastare la disoccupazione giovanile e lo spopolamento del Sud. Un grande successo: 7.589 nuove imprese, oltre 28.000 nuovi posti di lavoro, un impatto economico complessivo di quasi 1 miliardo di euro in soli quattro anni, un moltiplicatore di 2,54 € per ogni euro pubblico investito. Grazie a un modello misto di finanziamento, che combinava contributi a fondo perduto e prestiti a tasso zero garantiti dal Fondo di Garanzia del Medio Credito Centrale, “Resto al Sud” ha offerto un’opportunità concreta per i giovani e le donne imprenditrici del Sud di investire nel proprio territorio.
Naturalmente, l’attuale governo, a forte trazione nordista, ha ritenuto di dover cambiare: due nuove misure, “Resto al Sud 2.0” e “Autoimpiego Centro Nord”, che ridimensionano il programma originale e sottraggono risorse preziose a un’iniziativa prima pensata esclusivamente per il Mezzogiorno. Poco importa alla Meloni che il Sud continua a essere la macroregione con i maggiori tassi di disoccupazione, declino demografico e sottosviluppo economico.
Le risorse totali per i due nuovi programmi ammontano a 800 milioni di euro (500 per il Sud e 300 per il Centro-Nord), cifra di gran lunga inferiore agli 1,25 miliardi stanziati per il primo “Resto al Sud”. Ma soprattutto il Sud risulta grandemente penalizzato dalla redistribuzione delle risorse a favore del Centro e del Nord, dove i problemi di disoccupazione e desertificazione imprenditoriale sono certamente meno acuti: naturalmente le logiche elettorali e territoriali hanno prevalso sull’analisi oggettiva delle necessità economiche del Paese. Addirittura, il programma “Autoimpiego Centro Nord” è stato inserito nel decreto coesione prima di “Resto al Sud 2.0”, segno evidente delle priorità politiche di questo governo.
Non basta: un altro aspetto preoccupante riguarda il restringimento della platea di beneficiari. Se il programma originale includeva persone fino a 55 anni, il nuovo “Resto al Sud 2.0” limita l’accesso ai soli giovani under 35 disoccupati. Questa scelta esclude fasce importanti di popolazione, tra cui donne di tutte le età e disoccupati over 35, che invece avrebbero potuto beneficiare di tali misure, soprattutto considerando che i fondi provengono dal Programma nazionale “Giovani, donne e lavoro” e dal programma GOL, che avrebbero dovuto garantire un approccio più inclusivo.
Infine, il nuovo modello di finanziamento abbandona il sistema misto che prevedeva prestiti a tasso zero in convenzione con ABI, sostituendolo con un contributo a fondo perduto tra il 70% e il 75%. Questo cambiamento lascia scoperto il restante 25-30%, che i beneficiari dovranno reperire autonomamente. Per molti giovani disoccupati, trovare tali risorse rappresenta un ostacolo insormontabile, vanificando di fatto l’accessibilità del programma. La mancanza di una convenzione con l’Ente Nazionale per il Microcredito o con altri istituti finanziari per coprire questa quota non incentivata è un grosso problema.
Il Governo Meloni è riuscito a distruggere un modello virtuoso di politica pubblica, capace di generare risultati tangibili per il Mezzogiorno. Tutto nel solco della strategia dell’autonomia differenziata che acuisce le differenze tra le diverse parti del Paese e riafferma vecchie logiche di disuguaglianza territoriale.
Bell’articolo. Puntuale nei dati e chiaro nell’esposizione. Mi domando ma i parlamentari di ogni ordine grado su questo tema hanno preso posizione? e in particolare quelli della maggioranza, che sono anche al governo della regione, che cosa hanno fatto oltre a chinarsi per raccogliere le monetine ?